A.P.I. - Salto Cicolano
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    Salto Cicolano: itinerari da scoprire nel centro d'Italia

     

    Alla scoperta delle Origini
    Itinerario archeologico


    Tumulo (Corvaro)
    Il punto di partenza del nostro itinerario archeologico è Cartore di Borgorose e precisamente la Necropoli degli Arioli. Situato all’interno della Riserva Naturale Parziale delle Montagne della Duchessa, Cartore ospita una sola famiglia. Come testimonianza dell’antico insediamento abitativo resta l’importante Necropoli degli Arioli, realizzata dagli Equi, etnia appartenente al gruppo osco-umbro che si insediò nella Valle del Salto. La Necropoli, una delle meglio conservate nell’area centro-italica, ha un diametro di 30-35 metri ed è coperta da un cono di terra, detto “tumulo”, che veniva utilizzato per indicare la presenza tombale. La tomba, risalente al VI-V secolo a.C., a differenza di quelle rinvenute in Asia Minore, in Russia e in Etruria, è priva di camere in pietra, perché le salme erano inumate direttamente in terra, con il loro corredo funerario. Nelle sepolture maschili sono stati ritrovati armi, dischi-corazza, lamine di bronzo e punte di lance in ferro; in quelle femminili, invece, specchi in argento e bronzo, balsamari fittili, perline vitree e fibule.Particolarmente interessanti sono i due romitori, situati a 1200 metri, lungo le pendici delle Montagne della Duchessa.
    Procedendo verso Corvaro bisogna inoltrarsi nella piana per arrivare a godere dei resti di templi italici che caratterizzano l’Area Sacra di S. Erasmo. La località, che prende il nome dalla presenza di una chiesa medioevale (ora diruta), è a quota 804 del piano del «Cammarone» di Corvaro. Qui si vedono i resti di un basamento in opera poligonale di III e IV maniera, relativo ad un podio templare di forma rettangolare (m. 16,10X7,10) con orientamento longitudinale nord-est, sud-ovest. La cortina muraria è conservata per l'altezza di m. 1,50 con tre filari di blocchi in elevato; sugli angoli i blocchi sono parallelepipedi, disposti su assise orizzontali. Poco discosto, verso nord, una macchia nasconde i resti di un piccolo edificio da cui provengono numerosi ex voto fittili e metallici (parti anatomiche, figure umane ed animali), monetazione greca e romano-campana della fine del IV secolo e del III secolo a.C. Nell'area in superficie, numerosi frammenti fittili di tegulae, ceramica acroma, ad impasto, a vernice nera e terra sigillata italica, documentano la frequentazione del luogo della fine del IV secolo a.C. fino alla prima età imperiale romana.
    Sono presenti vicino al tempio un fusto liscio di colonna in pietra calcarea oltre ad un grande blocco modanato, relativo forse alla base del podio di tipo sannitico dell'edificio culturale di S. Erasmo, che trova puntuale riscontro nel vicino tempio vestino di Ercules lovius di Navelli (chiesa di S. Maria in Cerulis)e in tanti altri edifici culturali abruzzesi e molisani. Il santuario italico di S. Erasmo sarebbe quindi da collegare cronologicamente entro il III secolo a.C., anche per l'evidente connessione della stipe votiva. Sul lato est del tempio è una strada campestre che ricalca sicuramente un percorso antico che, provenendo da Nersae, superando il valico di Collefegàto e la chiesa di S. Maria delle Grazie, attraversava il piano in direzione di S.Erasmo. Poi, dopo aver superato il Colle Breccioso, raggiungeva il piano di S. Anatolia dove, all'altezza della chiesa di S. Maria del Colle, entrava nell'ager albense e per i piani Palentini raggiungeva Alba Fucens. Nella chiesa di S. Maria del Colle era conservato un cippo terminale (C.I.L., IX, 3930) con fines/albens (ium), che conferma i limiti meridionali del territorio equicolo.
    A testimonianza della presenza antica della strada descritta nel piano di corvaro, si notano, sul lato sud-ovest dell’attuale sentiero, piccoli nuclei di opera cementizia e blocchi quadrati forse relativi a mausolei e tombe romane poste lungo il percorso.

    Vaso (Tumulo di Corvaro)
    Sempre sulla piana alla estremità occidentale in località “Montariolo” è situato il tumulo di Corvaro, che rappresenta l’emergenza più rilevante presente nel territorio del Cicolano.
    Nella fase precedente agli scavi questo si presentava come un enorme cumulo costituito da terra, pietra e ciottoli diviso da dodici costolonature radiali, realizzate in pietre di notevole dimensioni e poste ad intervalli regolari, delimitato lungo il suo perimetro da un cordolo, parzialmente ancora oggi presente, realizzato con lastroni di calcare locale, ben squadrati. La necropoli, individuata a seguito dell’azione di scavatori clandestini, aveva un diametro di 50 metri con un’elevazione di 3,70 metri dal piano di campagna e presenta circa 254 tombe rinvenute fino ad oggi. Al centro del tumulo funerario ne era presente un altro di dimensioni minori, di 11 metri di diametro cronologicamente inquadrabile nel corso della Prima Età del Ferro ( fine IX – VIII sec. A. C. ), che fu inglobato dalla nuova struttura in una complessa opera di monumentalizzazione compiuta intorno alla metà del VI secolo a.C.
    Sono state portate alla luce oltre un centinaio di tombe, realizzate in fosse terragne circoscritte da grossi pezzi di pietre calcaree, il cui arco cronologico va dalla fine del IX secolo a.C. al II - I secolo a.C., in un periodo quindi successivo alla romanizzazione. I corredi funerari sono molto semplici, per il periodo arcaico, e sono caratterizzati dalla quasi totale assenza di ceramica.
    Nella tomba più antica, databile alla prima età del ferro, è stata ritrovata una fibula ad arco serpeggiante; nelle tombe maschili di cronologia più alta, i corredi sono costituiti soprattutto da armi da offesa e da fibule poste di solito all’altezza del petto. Tra le armi, le tipologie più ricorrenti sono punte di lancia e di giavellotto in ferro con relativo sauroter di varia lunghezza, con manico a cannone e lama fogliata o triangolare costolata, spade con elsa a croce a due fendenti, pugnali con elsa a stami.lo

    Spada con elsa a croce (Tumulo di Corvaro)
    Tra le fibule, la maggior parte bronzee, i tipi più diffusi sono quelli a riccio e del tipo a Certosa. Le tombe femminili più antiche, invece, hanno restituito principalmente placche di cinturone a pallottole riportate, del tipo diffuso in area italica, e bacili bronzei con orlo perlato. Un cambiamento radicale nei corredi avviene al momento della romanizzazione, avvenuta tra il IV e III secolo a.C.
    Nelle tombe maschili spariscono le armi, e appaiono strigili in ferro accompagnati da balsamari acromi, ad indicare un radicale cambiamento dei costumi e dello stile di vita. Le tombe femminili invece sono caratterizzate da piccoli specchi d’argento e di bronzo, in alcuni casi con manici decorati a testa di cervo, da balsamari fittili, da fibule in ferro e perline in pasta vitrea.
    Dal tumulo è consigliata una digressione nel paese di Corvaro per una visita al Museo Archeologico, tuttora in fase di realizzazione. Il progetto nasce dalla convinzione che al termine delle attività di scavo, sia indispensabile “restituire” lo spazio ed i materiali ritrovati attraverso una struttura “evocativa” del tumulo. Il progetto prevede una costruzione che nel volume e nell’aspetto esterno riproponga la forma e l’aspetto del tumulo originario mentre all’interno ospiti una zona espositiva. Per questo è prevista la realizzazione di una struttura portante in legno lamellare con due serie di pilastri disposti in corrispondenza di 12 elementi radiali interni, mentre la copertura, realizzata in tavole di legno impermeabilizzate e coibentate, sarà ricoperta da uno strato di terriccio e zolle erbose così da collocarsi in maniera discreta nel paesaggio circostante.

    Placche di cinturone (Tumulo di Corvaro)
    Da Corvaro si imbocca la SS578 direzione Rieti e si svolta all’uscita per S.Elpidio da qui ci si dirige verso Alzano al di sopra della piccola frazione si trovano i cospicui resti del Santuario Italico di Ercole Vaiano.
    I resti si trovano nella località detta «Grotta del Cavaliere» o «Corridoi» (quota 975), ai lati di un vecchio sentiero, scavato nella roccia, che da Alzano risale per Monte Castello Reale, poi Castiglione e raggiunge Tornimparte nell'aquilano.
    Così il Craven descrive la sua visita al monumento: «...I resti consistono di tre cinte di mura poligonali, ciascuna a dominare la successiva, come ad Alba: inoltre fra la prima e la seconda cerchia esiste u-no strano monumento. E' una struttura circolare sotterranea costituita da pietre sovrapposte a secco e disposte longitudinalmente, con o-gni ordine che gradatamente si proietta sul sottostante fino ad assumere la forma di una piramide tronca al vertice, racchiusa da due lastre piatte semicircolari che presentano un'apertura tonda al centro, su cui è posta un'altra pietra a chiuderla.
    L'entrata della costruzione, perfettamente simile ad un alveare, si colloca su un lato, presso uno spiraglio assimilabile ad una minuscola finestra da cui è stato rimosso il terriccio che l'aveva ostruita. L'interno, tuttavia, non è stato scavato fino ad una profondità sufficiente a verificare l'originale altezza dell'edificio che in ogni caso non sembra sia stata rilevante, poiché il diametro all'estremità inferiore non va oltre i sei piedi. Gli abitanti del posto suppongono che sia stata adoperata come pozzo...».
    Attualmente lo stato di conservazione delle murature è mediocre perché si sono aperte diverse brecce nelle tre terrazze descritte dal Craven; la cisterna invece è ben conservata.
    II muro di sostruzione del primo terrazzo è conservato per una lunghezza di m. 47,90 con due brevi interruzioni nel mezzo ed u-na altezza di m. 5 circa. Esso è composto da un massimo di 9-10 filari di blocchi in elevato con tipologia muraria riferibile alla III e IV maniera poligonale. In cattivo stato sono invece le murature del secondo e terzo terrazzo che sono conservate soprattutto per brevi tratti sul versante nord. La tipologia muraria è la stessa del primo muro di sostruzione; la altezza massima è di rn. 2,80 (cinque filari di blocchi) per il secondo è di m. 1,20 (due filari di blocchi) per il terzo.
    La larghezza delle terrazze è di m. 11,10 per la prima, segue poi uno stretto gradino di m. 3,20 ed infine la terza terrazza di m. 10,30 circa. Su quest'ultima, delimitata a monte da una bassa parete rocciosa, nel centro, sono i resti di una muratura cementizia rivestita da opera incerta e con tracce di intonaco colorato; conservata per una lunghezza di m. 5 circa e forse relativa alla parete est di un piccolo sacello di culto.
    Sulla prima terrazza, a circa m. 28,10 dall'angolo nord, è presente la cisterna a pianta circolare con diametro interno di m. 2,70 circa ed una altezza, visibile di circa due metri. Nell'interno, sul lato nord, nel punto di attacco con le due grandi lastre di copertura, vi è una lastra sporgente scanalata al centro che doveva portare l'acqua piovana nell'interno tramite dei canaletti raccoglitori esterni. Le sue lastre di copertura hanno una larghezza di m. 1,95 ed accostate formano un foro centrale di 50 cm. di luce. Questo tipo di cisterna è abbastanza diffuso in ambiente sabellico, si pensi per esempio alle cisterne a “tholos” del centro fortificato peligno di Colle delle Fate di Rocca-casale e a quelle dell'acropoli del Colle Curino di Alfedena, solo per citare le più famose e conosciute.
    Nelle vicinanze della cisterna si notano scavi clandestini che hanno riportato alla luce frammenti di ceramica a vernice nera, con bolli dello «Atelier des Petites Estampilles» e riferibili a ciotole e coppe con anse, oltre a pochi frammenti di ex voto anatomici. Questi rinvenimenti permettono di datare la frequentazione più antica dell'area al III secolo a.C.
    Durante uno scavo per la posa di tubazione idrica, effettuato lungo il sentiero che porta al santuario (anno 1983), è venuta alla luce una base di donario che cita la divinità adorata nel luogo, Er (coleiÌ) Vaiano.
    La disposizione su terrazze sul pendio ovest del Monte Fratta conferisce al santuario un'aspetto architettonico non infrequente nei santuari sabellici, si pensi ad esempio al santuario di Èrcole Curino di Sulmona che presenta la stessa disposizione su terrazze anche se con ingenti sistemazioni di età post-sillana (seconda metà del I secolo a.C.). Altri santuari simili sono nel Sannio; a Venafro nella Madonna della Libera ed anche nel territorio di Alba Fucens e dei Marsi.
    In complesso il gradino fra la prima e seconda terrazza doveva forse alloggiare una specie di prospetto scenico (forse un porticato composto da colonne o pilastri) al di sopra del quale c'era il piccolo sacello, mentre nella prima terrazza si svolgevano le attività di culto e dove è localizzabile la stipe votiva. Il sacello è stato con ogni probabilità edificato successivamente, in età tardo-repubblicana (I sec. a.C.) o in prima età imperiale romana, data la presenza dell'opera cementizia. La notevole quantità di ceramica acroma e terra sigillata italica e aretina, presente sul pendio al di sotto del primo terrazzo, documenta la lunga vita del santuario che sembra attivo fino al I secolo d.C.
    Nel sentiero che portava al santuario, precedentemente descritto, si notano i resti sconvolti di due tombe a cappuccina che attestano la frequentazione dello stesso in età imperiale.

    Grotte Val de' Varri (Pescorocchiano)
    Tornando sui nostri passi questa volta in direzione Avezzano sia sulla SS578 e sia sulla strada provinciale, ci dirigiamo verso Pescorocchiano per svoltare a sinistra in direzione Nesce. Nei pressi della quale vi era in epoca antica la città di Nersae.La Res publica Aequiculanorum, costituita da più villaggi (vici), ebbe in Nersae il suo vicus principale ricordato come sito in località montuosa da Virgilio e da Plinio. La sua ubicazione, a causa dei numerosi resti archeologici, è generalmente individuata nella valle sottostante l'odierno paese di Nesce, tra quest'ultimo e Civitella di Nesce nel territorio del comune di Pescorocchiano. Il centro si estendeva lungo la valle segnata da basse rocce verticali, dove un po' ovunque affiorano o sono sparsi antichi manufatti. Nella località S. Silvestre, in prossimità del Casale Di Marco, per la presenza di antichi resti viene identificata l'area del foro; il casale ingloba delle strutture pertinenti ad un ambiente chiuso da tre pareti, contraffortate sul lato sud, realizzate in opera cementizia ricoperta da una cortina in opera reticolata. Qui vennero effettuati scavi nell'Ottocento e negli anni '30 del secolo scorso. Si notano inoltre strutture murarie in opera quadrata, in opera poligonale, una serie di grossi blocchi squadrati non allineati, colonne, are, capitelli; altri materiali sono visibili nelle vicine località La Liscia, Coramazza, Serpe. In località Venarossa iscrizioni funerarie attestano l'esistenza di una necropoli rupestre. Numerosa è la quantità di epigrafi provenienti dalla zona, testimonianti, tra l'altro, l'esistenza di un teatro e la diffusione di culti misteriosofici come Mitra, Iside e Serapide; sono state inoltre rinvenute iscrizioni con dediche a Giunone, Marte Ultore e Vittoria. Nel 1989 la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio ha indagato un'area a nord-est del Casale Di Marco, portando alla luce un grande edificio rettangolare, attualmente di m. 21,8 x 7, costituito da una serie di ambienti affiancati. Si tratta di ambienti di probabile uso civile, ma la cui funzione non è al momento identificabile. L'edifìcio sembra essere stato utilizzato durante un arco di tempo piuttosto ampio, compreso tra la tarda età repubblicana e la tarda età imperiale, quando venne distrutto da un incendio, attestato da evidenti tracce di bruciato al di sotto di uno strato di crollo di tegole. Dal livello di abbandono sono state recuperate circa 400 monete, in bronzo ed argento, concentrate per lo più su di una superficie di mq 1 lungo il lato est dell'edifìcio: le monete sono inquadrabili cronologicamente tra il I ed il V sec. d.C., anche se la maggioranza sono costituite da emissioni di piccolo modulo ascrivibili soprattutto al IV sec. D.C.
    Nei livelli più profondi sono stati trovati frammenti di ceramica a vernice nera, mentre dappertutto è risultata abbondante la ceramica di uso comune da mensa e da fuoco; scarsa invece la quantità di ceramica fine da mensa e di sigillata italica ed africana. Va segnalata la presenza di oggetti di vetro, pesi in pietra e tessere ludiche, lucerne, frammenti di terrecotte architettoniche, appliques in bronzo di vasi, nonché di un frammento di marmo con iscrizione in lettere capitali. È stata rinvenuta inoltre una grande quantità di ossa animali e di scorie di ferro. Dopo l'abbandono in alcuni degli ambienti dell'edificio furono ricavate delle tombe, i cui corredi, generalmente molto poveri, hanno restituito monete, delle quali la più tarda risale all'età di Valente (375 d.C.).
    Tornando da Nesce si prosegue in direzione Val de’ Varri, che costituisce l’ultima tappa del nostro breve ma intenso itinerario, sino ad arrivare nei pressi dell’omonima grotta, questa è situata in una vallata chiusa orientata nord ovest e sud est tra i fiumi Salto e Turano, presso il centro abitato di Leofreni (Pescorocchiano), costituisce il primo insediamento riconosciuto del Bronzo Medio (XVII-XIV sec. a.C.) nel Lazio. Questa valle è parte di un sistema di bacini le cui acque scompaiono dentro inghiottitoi.

    Grotte Val de' Varri (Pescorocchiano)
    L'inghiottitoio di Val de' Varri (Sito di Interesse Comunitario) s'interna a oltre 750 m di quota e si articola in due principali rami: quello di destra è fossile, mentre quello di sinistra è formato da una galleria superiore e da una sotterranea, attualmente attraversata da un torrente. Il ramo superiore è quello che ha restituito le evidenze archeologiche: esso si sviluppa secondo una forte inclinazione (ca. 65 m di dislivello) per una lunghezza di ca. 60 m, una larghezza media di 21 ed un'altezza tra i 14 e i 15 metri.
    Già esplorata nella prima metà del Novecento, la zona archeologica della grotta è stata oggetto nel 1997 di una ripulitura superficiale promossa dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, in collaborazione con il Comune di Pescorocchiano, che ha consentito il recupero di numerosi frammenti ceramici, elementi faunistici, alcuni elementi in selce ed in metallo, una fuseruola, un macinello ed un manufatto in osso. Le tracce della presenza dell'uomo nella grotta sono costituite da residui di focolari (carboni e ceneri), da numerosi frammenti ceramici, ossa di animali rotte e bruciate, e da una regolarizzazione di nicchie trapezoidali lungo la parete sinistra. Per quanto riguarda i frammenti ceramici, questi appartengono in parte a grossi vasi da derrata (olle, dolii) di impasto grossolano, in parte a ciotole carenate, vasetti, piatti, di impasto fine depurato. Si tratta di forme generalmente diffuse durante tutta l'età del Bronzo. La decorazione, quando è presente, consiste in semplici cordoni plastici, oppure risulta incisa, con motivi curvilinei concentrici, o a nastri angolari posti a formare dei rombi, oppure nastri ricurvi campiti da
    file di punti o da tratteggi trasversali. In diversi punti della galleria superiore sono state individuate sulle pareti delle forme di arte rupestre, costituite da segni eseguiti tramite impressioni digitali (talvolta con l'ausilio di una soluzione bianca densa) oppure per mezzo di picchiettatura e abrasione. I motivi ricorrenti sono cerchi di punti, linee semicircolari concentriche, spirali, simili a quelli attestati anche nell'arte rupestre alpina e nelle grotte della penisola iberica. Tra i resti faunistici recuperati, oltre a caprovidi e suidi, si riconoscono bovidi, ma è attestato anche il lupo. L'abbondanza di denti e mandibole di individui giovani potrebbe essere l'indice di un'economia fondata più sull’allevamento che sulla caccia.



    Alla scoperta delle origini

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